A Genova, nella splendida ambientazione dell’Appartamento del Doge – a Palazzo Ducale – sarà allestita la grandiosa retrospettiva dedicata all’artista norvegese in occasione dei 150 anni dalla nascita e che sarà visitabile dal 6 Novembre fino al 27 Aprile 2014. ”Munch dipinge ciò che vede – racconta Marc Restellini, curatore della mostra – ma oltre le proprie paure ha anche una nuova visione dell’arte che è pura avanguardia e in questa mostra saranno esposte le sue opere più belle, sentite, amate e sofferte”.
Un’occasione imperdibile per conoscere da vicino e tentare di immedesimarsi con l’artista e l’uomo Munch, un percorso comprendente oltre 150 opere mediante il quale possiamo sperimentare che ”un’opera d’arte proviene direttamente dall’interiorità dell’uomo. (…) L’arte è il sangue del cuore umano”.
Edward Munch (1863-1944)
“Sarebbe divertente fare una chiacchierata con tutti quelli che nel corso degli anni hanno guardato le mie opere e ne hanno riso o hanno semplicemente scosso il capo. Essi sono completamente incapaci di comprendere che esiste una sorta di verità legata a queste transitorie impressioni di vita. Tutto ciò che sanno è che un albero non può essere rosso o blu, né un viso blu o verde. (…) Non possono permettersi di credere che l’artista intendeva veramente adottare colori tanto insoliti. Il suo doveva essere solo una sorta di inganno puramente intellettuale, o forse semplicemente il prodotto di una mente sconvolta: preferibilmente quest’ultima cosa. (…)
La verità è che si vede con occhi diversi di volta in volta. Al mattino vediamo le cose in un modo, alla sera in un altro, e questo dipende dal nostro modo di essere. Uno stesso soggetto viene perciò percepito in tanti modi differenti ed è questo che rende l’arte tanto affascinante. (…) L’arte scaturisce dal desiderio dell’uomo di comunicare con i suoi simili. le tecniche di rappresentazione, sia nella letteratura che nella pittura, variano in relazione alle intenzioni dell’artista. La natura è un mezzo per raggiungere un fine, non è un fine in sé.”
(Edward Munch. La vita e le opere. A Eggum, Jaka Book – Milano 1984)
Per Edward Munch, pittore norvegese, l’artista “non è come gli altri”, possiede un occhio interiore; perciò il puro realismo non è più sufficiente all’artista perché, solo con esso, non può esprimere l’anima. Questa realtà interiore che popola la vita di Munch – ma anche quella di Van Gogh e di altri artisti tra l’Ottocento ed il Novecento – emerge nella sua opera mediante l’azione del gesto artistico, sofferto, che “aggredisce” la tela con segni e colori ed emerge in modo potente.
La vita di Munch è segnata, nella sua infanzia, dal dramma degli avvenimenti: a soli cinque anni la morte della giovane madre e, poco più tardi, quella di Sophie, sua sorella quindicenne; per questo e per la professione di suo padre, medico dei poveri, il giovane Munch vive conoscendo il dolore che ne segnerà – in modo indelebile – la vita.
In questo senso è emblematico il dipinto “Bambina malata” del 1896, in cui esprime i sentimenti legati al ricordo della malattia e della morte di Sophie: la ripresa di un tema è una costante nell’opera di Munch, di quest’opera dipingerà cinque versioni e numerosissime variazioni grafiche.
Nell’opera di Munch, oltre alla drammaticità della vita, emerge un aspetto ed un sentimento legato al contesto storico e culturale del suo paese e dell’intero nord-Europa, rivoluzionato dallo sviluppo industriale che aveva trasformato la società in una “parte” del meccanismo produttivo; questo aveva generato – nella società – la dimenticanza delle proprie radici e la perdita della coesione sociale e – nell’individuo – la conseguente estraneità al mondo. In tale contesto la persona è “imprigionata” nel meccanismo inesorabile dell’organizzazione lavorativa, dell’efficienza produttiva; Munch, perciò, è testimone della drammaticità dell’esistenza umana, del dolore e della sofferenza della persona e della società e, nelle sue opere, non fa altro che scrivere e riscrivere una sorta di “autobiografia” per immagini.
Dal 1889 al 1892, grazie ad una borsa di studio, soggiorna a Parigi ed in Costa Azzurra dove conosce l’arte impressionista e post-impressionista.
Nel 1892 viene invitato ad esporre a Berlino dall’Associazione degli Artisti; i suoi dipinti che hanno tutti per tema l’amore e la morte, suscitano talmente tanto scalpore che la mostra viene presto chiusa. Questo “insuccesso” non frena la sua attività ma gli fa elaborare il “Fregio alla vita”, una sorta di programma nel quale sarebbero confluite tutte le opere più importanti, così da rappresentare la sua “vita interiore”.
Tale programma fu esposto alla Secessione di Berlino del 1902; si componeva di quattro sezioni tematiche ognuna occupante una parete della sala dedicata a Munch.
I temi erano: “Il risveglio dell’amore”, “Lo sbocciare e la morte dell’amore”, “Paura di vivere” (in questa sezione era compreso “Il Grido”) ed infine “La morte”.
Nelle opere del Fregio, era compreso anche Malinconia che rappresenta la testimonianza dell’iniziale legame di Munch con la pittura di Gauguin, le sagome sono raccolte in grandi zone con campiture omogenee delimitate da contorni netti, il paesaggio, la spiaggia, trasmettono un senso di abbandono, di attesa, concretizzano l’esistenza. Dipingere, per Munch, è un atto di “introspezione”, un guardare dentro il proprio cuore. Le opere di Munch partono dal vissuto personale, dalla sua esperienza, da ciò che vive o ha vissuto ed acquistano una dimensione “universale” perché fanno parte della vita di ognuno.
Le sue opere mostrano “la condizione” dell’uomo. Nella “Danza della vita” (1899-1900) Munch prende spunto da un ballo di primavera all’aperto, in riva al mare ad Asgardstrand; il dipinto acquista un valore simbolico, una metafora dell’esistenza, perché in primo piano l’artista raffigura le tre età della donna: a sinistra, in abito bianco, la purezza verginale; al centro, in abito rosso, la passione; a destra, in abito nero, la condizione di vecchiaia. La bianca e la nera assistono alla danza della donna, con un uomo vestito di nero, al centro della scena; la prima accenna un passo di danza con le mani protese, segno dell’impeto del desiderio umano; la terza ha lo stesso volto della prima ma segnato dal rimpianto, con le mani congiunte, immobile nella sua fissità. I volti della coppia danzante hanno gli occhi chiusi, sognanti, nell’estasi della loro felicità.
Nel 1908 Munch, debilitato per la malattia che lo affligge da qualche anno, vive un periodo di riposo in una clinica a Copenaghen; successivamente, nel 1909 dedide di tornare in Norvegia dove vivrà una vita solitaria, lontano da tutti, anche dai familiari. Il rapporto con la morte diventa il tema di questi anni, come nell’”Autoritratto tra il letto e l’orologio” del 1940-42. In piedi accanto al letto (orizzontale) e la pendola (verticale) rappresentano i due assi che definiscono lo spazio dell’esistenza. Dietro, nella luce - che è alle spalle, come la vita – si vede un quadro che rappresenta il lavoro, l’impegno di tutta la sua esistenza. In quella stessa stanza Munch morirà nel 1944. Qualche anno prima aveva scritto: «Nella mia arte ho tentato di spiegarmi l’esistenza e ho aspirato a vedere chiaro nel cammino della vita».
Edvard Munch. La grande mostra a Palazzo Ducale
Appartamento del Doge
dal 6 novembre 2013 al 27 aprile 2014
www.mostramunch.itTratto dal sito palazzoducale.genova.it:
Nel 150esimo anniversario della sua nascita, Edvard Munch è celebrato in tutto il mondo.
L’Italia rende omaggio al sublime artista norvegese con una imperdibile retrospettiva che si terrà a Palazzo Ducale di Genova dal prossimo novembre.
Curata da Marc Restellini, direttore della Pinacotheque de Paris, che nel 2010 dedicò al maestro norvegese una straordinaria esposizione visitata da oltre 600.000 persone, la mostra è promossa dal Comune di Genova e da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, ed è prodotta da Arthemisia Group e 24ORE Cultura – Gruppo 24ORE