Ho iniziato a disegnare, in modo continuo e regolare, nel 1985.
Dapprima, per obbligo alle scelte della giovinezza; successivamente, arrivato alla facoltà di architettura, quasi come fosse un compito assegnatomi. In seguito ho iniziato ad intuire quello che realmente e profondamente il disegno è: uno strumento, un mezzo per indagare, per scoprire, per conoscere le cose, un mezzo che impone – come nessun altro – l’osservazione.
Ho imparato ad osservare le proporzioni, i rapporti, le misure ed a disegnare con precisione; un disegno esatto e regolare con l’aiuto di strumenti piccoli e semplici. Ho scoperto che esistevano tantissimi tipi di carta su cui tracciare segni, carte grigie, da pacchi, carta da pesce, trasparenti. Ho imparato ad amare gli strumenti del disegno, a trattarli con cura, a comprarne di nuovi.
Da allora il disegno mi segue, mi accompagna; ho iniziato allora ad usare i Vang, quaderni neri con delle bellissime pagine bianche avorio (come avevo visto fare ad Adolfo Natalini durante il corso di Disegno e Rilievo), all’inizio quasi mi dispiaceva disegnarci sopra, talmente erano belli. Li usavo per disegnare di tutto, erano come un “diario disegnato”, con le pagine via, via, numerate e datate; contenevano i disegni appuntati per gli esami ma anche ciò che scoprivo girando per Firenze e per la Toscana, una sorta di album con pezzi di facciate, cornici, fregi, idee, ricordi, memorie ma anche disegni ricopiati dai libri, disegni di altri. Ho imparato allora a tenerli in ordine, come i miei libri.
Quell’incontro iniziale che mi aveva affascinato, con quel maestro e con il suo modo di disegnare, con le sue (allora ancora poche!) architetture ed il suo modo di parlarne, ri-accadde più volte nel corso degli studi, anzi ne diventò come le stazioni di un viaggio: il corso di Arredamento e Architettura degli interni, e poi quello di Progettazione 2, e poi altri progetti per l’ipotesi di tesi e poi il percorso della tesi: il giorno che propose il tema, il lavoro, le lunghe revisioni nell’aula Minerva o nel suo studio.
Quell’incontro, come i disegni che ne sono scaturiti, mi accompagna nel lavoro faticoso dell’architetto. In questo viaggio – che continua – i disegni sono diventati tanti, sono diventati il mezzo per vedere cose che ancora non sono, spazi, architetture (adesso ancora poche!), particolari che sono da fare. Di quaderni ne ho riempiti tanti, mi hanno seguito, e mi seguono, nei miei studi in Firenze, da via Caselli ad Archingegno, in piazza Torino, passando dallo studio delle Cure fino a Piazza Nobili; li ho ritrovati più volte, li ho messi in ordine, raccontano la mia storia e, sfogliandoli, vedo un filo rosso che lega tutto, come un’unica giornata di intenso lavoro, perchè il disegno non va in ferie.
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